“Stop ai Trasferimenti!” – Ordinanza n. 614/2019 e Sentenza n. 3232/2018 della Corte di Cassazione

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L’antefatto: come noto la società Poste Italiane è stata condannata, almeno a partire dal 1999, dai Giudici del Lavoro a riammettere in servizio migliaia di dipendenti già assunti a tempo determinato che avevano lamentato la nullità della clausola di apposizione del termine. All’esito dei processi la società in questione, anziché applicare i dipendenti presso la sede lavorativa dove avevano prestato servizio (si trattava infatti di ripristinare lo stesso rapporto, da considerarsi come “mai interrotto”) usava trasferirli (anche) a centinaia di chilometri di distanza.

Nel 2004 era intervenuto (il 29 luglio) un accordo sindacale che disciplinava le modalità di tali “riassunzioni”: la società avrebbe dovuto riapplicare, nello stesso ufficio dove l’ex precario aveva lavorato, o comunque in uffici siti nel Comune ove era ubicato quello nel quale era stata eseguita la prestazione a termine, e nel caso di “eccedentarietà” di tale ufficio/i, comunque in altro ufficio dello stesso Comune e, in via gradata ed in sequenza, in uffici siti nelle Provincie o nelle Regioni più vicine.

Nelle pronunce (sentenze o ordinanze) in questione la Corte Suprema, confermando gli arresti dei giudici di merito (in questo caso della Corte d’Appello di Roma), e il proprio stesso orientamento ha ribadito che:

a) L’onere della prova della sussistenza delle esigenze tecniche produttive od organizzative capaci di legittimare un provvedimento di trasferimento, contrariamente a quanto affermato dalla società, incombe sul soggetto datoriale che tale provvedimento abbia adottato e non sul lavoratore spostato;

b) Spetta al giudice del merito (quindi al Tribunale e/o alla Corte d’Appello) valutare l’idoneità probatoria dei mezzi istruttori proposti dalle parti. Nei casi di specie la Corte D’Appello di Roma, affermata la legittimità degli accordi sindacali del 29 luglio 2004, aveva rilevato come Poste Italiane non fosse apparsa in grado di fornire alcuna prova “circa il periodo cui era riferibile l’eccedenza presso gli uffici del comune di Roma, né sul fatto che in tutti gli uffici postali vi fosse un’eccedenza superiore al 109%”.